Centri commerciali, camorra e perdita d’identità
di Salvatore Legnante
Se può esserci un caso emblematico dell’estrema urgenza e necessità di un movimento meridionalista, che nelle nostre terre dia il senso e una nuova visione di cosa deve essere la politica, beh questo caso è rappresentato dall’affaire Jambo, che nei giorni scorso ha portato alla ribalta l’ennesima dimostrazione di quanto sia incancrenito il rapporto tra camorra e istituzioni in taluni territori del Sud, e in particolar modo nell’agro aversano.
Una terra in cui malavita e politica hanno dato vita, per decenni, ad una vera e propria trattativa, un do ut des vantaggioso per entrambe le parti in causa, che ha condannato i cittadini a subire ancor più che in altre zone del Sud la condizione coloniale perpetrata dall’Italia.
Oggi che lo Stato ha finalmente messo in campo una reazione che ha portato alla decapitazione dell’ala militare dei clan, restano però le scorie tossiche dei colletti bianchi, dei gattopardi, di quei politici che hanno beneficiato dei voti e dei favori dei clan camorristici.
L’affaire Jambo, dicevamo, è emblematico. Un centro commerciale controllato da Michele Zagaria, il boss che con Iovine ha assunto, negli ultimi anni, la reggenza del clan camorristico comunemente conosciuto come ‘dei casalesi’, secondo l’abitudine tutta italiana e tutta coloniale di identificare un intero popolo come malavitoso. I camorristi sono camorristi, i casalesi sono soprattutto altro.
Il controllo avveniva – secondo gli inquirenti – con il consenso e l’appoggio della malapolitica, dei sindaci della zona, in particolar modo di Michele Griffo, primo cittadino di Trentola Ducenta, al momento latitante.
Una forza politica, in casi del genere, deve chiedersi come e perché sia potuto avvenire tutto questo, e quali azioni si possono mettere in campo.
Ecco, noi non riteniamo che quello che è avvenuto a Trentola, per il Jambo, sia un mero problema di criminalità organizzata. Non riteniamo neanche che sia sufficiente dare la responsabilità a quei politici che non si fanno scrupolo di fare affari con la camorra. Quello che è avvenuto, e che purtroppo avviene in altre realtà meridionali, è il frutto di un avvelenamento culturale, per meglio dire di un genocidio culturale.
Cos’è la presenza massiccia dei centri commerciali, concentrati in pochi km quadrati, se non il segno della perdita dell’identità dei nostri territori? Tra le province di Napoli e Caserta sono sorti in meno di un decennio numerosi di questi mostri della modernità, che spesso hanno fatto scempio di beni artistici (come nel caso del Campania, a Marcianise), o sono stati utilizzati anche come discarica (Vulcano Buono, a Nola). Le nostre terre, le nostre campagne, sono state letteralmente svendute, sia praticamente che culturalmente: il controllo è passato facilmente ai clan camorristici, ed in cambio di pochi soldi un territorio a vocazione agricola ha cambiato forma, omologandosi a qualcosa di altro da sé.
La camorra e la malapolitica hanno avuto vita facile: perché operavano in zone senza più memoria, senza più identità, senza più legami con quella cultura contadina che faceva di quelle campagne le più fertili d’Europa. Da terra di eccellenze alimentari, di piccoli produttori, di artigiani, siamo stati consapevolmente portati a diventare terra di consumatori di merci prodotte altrove, svendendo noi stessi. I centri commerciali sono un totem del colonialismo italiano: al Sud la presenza della criminalità organizzata, assieme alla parte peggiore dei partiti politici, ha fatto sì che potesse sembrare progresso e sviluppo quella che era in realtà la morte civile del nostro modo di essere.
Il Campania, il Medì, il Jambo, l’Auchan, la Reggia Outlet, le Porte di Napoli, il Vulcano Buono, ecc.. sono sorti sulle macerie di un’identità collettiva e di una cultura contadina perduta, svilita, vista come retrograda. Può dirsi oggi sviluppato un territorio che ha visto sostituirsi quella cultura al consumismo senza regole di cui quei mostri sono il simbolo? Consumismo di cui si è nutrita, letteralmente, la camorra.
E’ per questo che un movimento politico meridionalista non può limitarsi a fare di casi come quelli del Jambo una semplice questione criminale. E’ una questione culturale, oltre che giudiziaria e politica. Una forza meridionalista deve interrogarsi sul modello di sviluppo futuro che i nostri territori possono avere, tenendo sempre fortemente presente quell’identità svenduta e sottovalutata da tutti gli altri partiti di matrice italiana e perciò coloniale.
Abbiamo il dovere di proporre iniziative contro i legami tra mafie e politica che ancora oggi, purtroppo, imperversano in tanti comuni meridionali, abbiamo il dovere di sostenere quelle esperienze politiche che stroncano ogni giorno questi legami (pensiamo alla Napoli di De Magistris, che ha messo alla porta clientele ed affaristi camorristici, pensiamo a Renato Natale, che a Casal di Principe ha ridato orgoglio al suo popolo denigrato, ecc..), ed in più abbiamo il sacro dovere di essere degni della nostra identità, storica, territoriale, culturale.
Solo così, riteniamo, potremo finalmente togliere ossigeno alla malapolitica, che è la forma più perversa e pericolosa di camorra presente nella nostra terra, nobile e disgraziata.
Vero, genocidio culturale.
La cultura deve essere – è – il punto di partenza di questo Progetto. Essa produce civilizzazione (quella vera), e cosa importantissima – se non basilare – Ricchezza. Il resto è tutto sfrido.