Cassa Sacra: come le Due Sicilie gestivano i terremoti
CASSA SACRA
Il 5 febbraio del 1783, alle ore 12.45, un rovinoso terremoto (gradi 11,00 della scala Mercalli- Cancani – Sieberg, corrispondenti a gradi 7,00 della scala Richter) con epicentro la Piana di Gioia Tauro sconvolse la Calabria Ulteriore causando la distruzione di molti centri abitati e la morte di 29451 persone (1041 uomini, 10829 donne, 8265 ragazzi, 204 religiosi e 112 religiose), oltre i quasi 1000 del messinese.
Altri 5000 persone morirono negli anni successivi per carestie, pestilenze e miseria per effetto delle continue scosse, durate per oltre tre anni.
Alla prima scossa ne seguirono altre minori (tra il VII e l’VIII grado della scala Mercalli): nella notte tra il 5 e il 6 febbraio nella zona aspromontana, alle 20.20 del 7 tra Monterosso e Soriano e tra il 28 febbraio e il primo marzo nella zona di Polia.
Con il terremoto si ebbero: crolli, frane, scivolamenti di intere colline, fenomeni di liquefazione, pestilenze, carestie e malattie di ogni genere.
Nella parte nord – ovest dell’Aspromonte e nella Piana di Gioia Tauro intere colline franarono precipitando nei fondovalle trascinando diversi centri abitati e ostruendo i corsi d’acqua, che di conseguenza formarono alcuni laghi.
Nel tratto di mare tra Bagnara Calabra e Scilla si verificarono pure fenomeni di tsunami con onde alte 8 m.
La notizia dell’immenso disastro fu data al governo borbonico il 14 febbraio dal comandante della nave militare S. Dorotea, partita da Messina e di passaggio dalle coste calabresi proprio nel momento del sisma.
Secondo lo scrittore ed economista Achille Grimaldi il valore approssimato del danno fu di circa 31.250.000 ducati (per avere un’idea reale del disastro si pensi che in quel periodo un muratore costava circa 0.50 ducati).
Il governo borbonico, subito dopo aver appreso la notizia, impose un’imposta straordinaria di 1.200.000 ducati e il re Ferdinando IV inviò nelle zone interessate del sisma, in qualità di Vicario Generale il maresciallo Francesco Pignatelli, principe di Strongoli.
Dopo il terremoto il geologo francese Déodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu, gli accademici partenopei e il cavaliere Hamilton (inviato straordinario e ministro di S.M. Britannica alla corte delle Due Sicilie), su incarico dei reali di Napoli, fecero le relative relazioni sui danni.
Pure l’ambasciatore d’Inghilterra a Napoli, su una “speronata” noleggiata appositamente, visitò attentamente le zone colpite dal sisma, sbarcando spesso sulla costa per rendersi conto personalmente dei danni.
I 391 paesi della Calabria Ulteriore furono suddivisi in base ai danni in: interamente distrutti e da riedificare in nuovo sito (33), interamente distrutti e da riedificare nello stesso sito (150), in parte distrutti ed in parte non abitabili (91), parzialmente distrutti o lesionati (44), inabitabili perché gravemente lesionati (14), lesionati ma abitabili (26), poco lesionati (18), parzialmente distrutti (8) e rimasti illesi (7).
Gli esperti inviati dal governo centrale misero in risalto le antiche e gravi condizioni economiche della Calabria, peggiorate a causa dal terremoto.
Gli stessi proposero un moderno sistema economico e amministrativo capace di eliminare la prepotenza dei baroni, le gravose tasse dovute alla manomorta, la povertà e la corruzione.
Interessanti furono le norme emanate dal governo borbonico per la ricostruzione, le quali suggerivano la forma delle città, la regolarità degli edifici, la larghezza delle strade (la strada principale doveva essere diritta e larga 8 metri per le città minori, da 10 a 13 per quelle più importanti; le strade secondarie, larghe da 6 a 8 metri, diritte e ortogonali tra loro) e le regole per eseguire le strutture degli edifici adottando, il cosiddetto sistema delle case baraccate, che prevedeva la costruzione di case non oltre i due piani di altezza, le strutture portanti in legno all’interno delle murature, capaci di resistere alle sollecitazioni sismiche e l’eliminazione dei tetti spingenti.
Il reali di Napoli, per sostenere le gravose opere della ricostruzione e per favorire i coloni a diventare proprietari della terra, emanarono una serie di dispacci tra il 15 maggio e il 4 giugno del 1784.
Nel “dispaccio” del 15 maggio, trasmesso dal Vicario Generale maresciallo Francesco Pignatelli, si dispose l’abolizione degli enti ecclesiastici della Calabria Ultra e l’utilizzazione dei loro beni per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto, si dispose altresì che tutti i religiosi fossero trasferiti in altre province e le religiose inviate alle case paterne o presso famiglie agiate.
Nel “dispaccio” del 4 giugno vennero emanate le “norme istitutive” della Cassa Sacra, necessarie per riscuotere tutte le rendite ecclesiastiche ed amministrarle in attesa di essere utilizzate per il recupero delle opere più urgenti. Si stabilì anche che la stessa fosse gestita da una giunta, con sede in Catanzaro, composta da 4 Ministri: Don Francesco Pignatelli Strongoli, il vescovo di Catanzaro Don Salvatore Spinelli, Don Andrea de Leone e Don Domenico Ciaraldi.
La Cassa Sacra aveva la facoltà di vendere, affittare o censire i beni dei monasteri soppressi o sospesi. I beni invenduti, inoltre, dovevano essere concessi in enfiteusi con l’obbligo del versamento di un corrispettivo annuo in censo liquido o in derrate.
Col “dispaccio” reale del 29 maggio 1784 furono allargati gli espropri già previsti con la confisca delle rendite delle abbazie, dei benefici dei patronati laicali, delle cappelle laicali e gentilizie vacanti e delle rendite che costituivano la dote dei monti frumentari.
Nel febbraio 1785 furono incamerate le proprietà delle congreghe laicali, la quarta e quinta parte delle rendite delle abbazie, le rendite dei vescovati vacanti, il terzo delle rendite dei vescovati non vacanti ed infine lo spoglio dei vescovi defunti.
Gli enti ecclesiastici colpiti dai provvedimenti della Cassa Sacra furono diversi: alla fine del settecento, in Calabria Ultra, vi erano 450 parrocchie e 250 conventi (120 francescani, 17 basiliani, 40 domenicani, 17 agostiniani, 10 carmelitani; inoltre cistercensi, certosini e benedettini).
Nonostante il pronto intervento e l’impegno fattivo del governo borbonico per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma e per aiutare i coloni, le cose non andarono come previsto.
Infatti, le proprietà ecclesiastiche della Calabria, già deturpate da borghesi e contadini fin dal periodo angioino ricevettero un colpo mortale con l’avvento della Cassa Sacra,.
I “riformisti” non hanno tenuto conto che nei secoli la proprietà ecclesiastica hanno consentito prestiti massicci alle famiglie importanti e piccole anticipazioni ai ceti poveri.
Il patrimonio ecclesiastico ha esercitato quindi, pur con alcuni aspetti negativi, un importante “calmiere” sociale.
La Cassa Sacra, riforma rivoluzionaria e coraggiosa, fallì quasi completamente i propri obbiettivi; il pagamento in contanti delle terre ecclesiastiche favorì gli avidi ricchi a discapito dei coloni che non potevano disporre di somme così cospicue.
Così i contadini, che avevano in fitto le terre, o dovettero cambiare padrone o addirittura furono cacciati.
Nel 1790, dopo una denuncia anonima dettagliata, pervenuta al governo borbonico sulle prepotenze e sugli arricchimenti di alcuni calabresi, si recò in Calabria in veste d’ispettore generale il cavaliere Luigi De Medici che, dopo minuziose indagini, inviò al governo borbonico il 15 maggio dello stesso anno una lettera da Monteleone: “talune delle persone che vi si nominano sono veramente ricche e prepotenti; ma per bene intendere la parola prepotenti fa duopo sapersi il significato che vi danno i calabresi. Qui si dicono prepotenti taluni ricchi che proteggono gli inquisiti per via di grosse contribuzioni che di continuo fanno ai subalterni ed ufficiali dell’udienza, ed a questo modo sì fatta gente ribalda resta per sempre, o almeno per lungo tratto, impunita. Questi ricchi di maltalento si servono di questi protetti facinorosi per rendersi autorevoli presso della povera gente su della quale esercitano, specialmente ne’loro negoziati, le maggiori avarie”.
Inoltre, secondo il De Medici, esistevano dei problemi gravi sulla città di Catanzaro dove erano fiorenti le idee della massoneria
Infine, secondo il De Medici, la Cassa Sacra era servita solo a poche persone in quanto il previsto acquisto delle terre ecclesiastiche da parte dei coloni era svanito.
Contemporaneamente i riformisti calabresi più importanti: De Filippis, De’ Mari, Del Toro, Muscari, Spiriti, ecc. misero in risalto il fallimento della riforma e ne indicarono i rimedi necessari per fare uscire la regione dalla miseria.
Nella primavera del 1792 Giuseppe Maria Galanti, in qualità di visitatore ufficiale, percorse la Calabria traendone pessimistiche notizie. Lo stesso scrisse una relazione al sovrano per la segreteria delle finanze dove si elencavano i motivi che hanno causato la povertà della Calabria.
La cruda e reale relazione del Galanti impensierì il re; la preoccupazione aumentò dopo che lo stesso ricevette dal vescovo di Mileto, mons. Enrico Capace Minutolo, una relazione sullo stato precario della propria diocesi e dopo che l’arcivescovo Giuseppe Rossi, incaricato dal re, mise in risalto il fallimento della riforma e la povertà della Calabria Ulteriore.
Così il 16 gennaio 1796, il governo borbonico decretò finalmente la soppressione della Cassa.
Bibliografia
BRASACCHIO G., Storia economica della Calabria, Chiaravalle Centrale1977
CIRILLO D., Squillace e la Diocesi prima e dopo il terremoto del 1783, Squillace 1983
GIUSTINIANI L., Memorie istoriche degli scrittori del regno di Napoli, Napoli 1787
PLACANICA A., L’Iliade funesta, storia del terremoto calabro messinese del 1783
PLACANICA A., Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria, Salerno 1979
PRINCIPE I., Città nuove in Calabria nel tardo settecento, Chiaravalle Centrale 1976
SERRAO E. , Dei tremuoti di Castelmonardo e della nuova Filadelfia in Calabria, Chiaravalle Centrale 1974
VIVENZIO G., Istoria dei tremuoti, Napoli A. S.