Il Camaleonte Trump – Dalla collaborazione coi russi ai salamelecchi ai sauditi, mentre l’Italia si adegua

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da un libero commento all’articolo di Gianluca Ferrara del 23 maggio sul Fatto Quotidiano
di Massimo Mastruzzo

Apriamo un confronto che non abbia né il sapore delle prese di posizione precostistuite né quel gusto di complottismo-a-tutti-i-costi che oggi sembra invadere i social. Proviamo, come ci suggerisce il Taijitu, a ragionare sul concetto che gli opposti convergono. Utilizzando un po’ di filosofia spicciola si può affermare che ci sia un po’ di bene nel male e un po’ di male nel bene, e questo in base alla prospettiva di osservazione degli eventi. Tralasciamo per un attimo la (seppur utile) leggerezza delle disamine sul vestito che la first lady Melania indosserà in questo o quell’evento. Vorrei concentrarmi su una questione fondante, e per nulla lieve, dunque.

Trump sta svolgendo un mandato dai tratti farseschi. Sta via via tradendo molte promesse elettorali. Il discorso sarebbe vasto e dispersivo, ma in questo caso voglio concentrarmi su parte della sua politica estera. Ci ricordiamo tutti della iniziale intransigenza contro l’Islam che – al pari dei messicani, in altri ambiti – veniva usato in campagna elettorale come spauracchio generalizzante e funzionale al machismo reattivo di marca Trumpista. La favola di una presidenza intransigente, al limite del crociatesco, aveva attirato grandi simpatie dalla alt-right americana (e non solo). Sembrava che i populismi internazionali avessero trovato la soluzione alla neo-guerra fredda, fornendo un ottimo gatto alla volpe russa. Certo, rimaneva il nodo iraniano a dividere il talamo nuziale Trumputiniano, ma sembrava che le cose si sarebbero potute risolvere col tempo.

Le fiabe ad un certo punto finiscono, però. Come era prevedibile – quantomeno a chi non confezioni analisi di geopolitica sulle “testate” pseudogiornalistiche della destra italiana – il presunto “commander in chief” si è trovato difronte alla realtà, e le sue dichiarazioni gargantuesche hanno finito per scontrarsi con la realpolitik. Lo si è visto inizialmente in Siria, scacchiere sul quale questo camaleontico Trump-non-Trump si era mosso chiaramente in antitesi rispetto alle idee di equilibrio mediorientale che aveva lasciato intuire prima dell’election day americano.

Lo si vede adesso a Rhyad, dove appare più vicino agli interessi dell’industria degli armamenti che alla sua sbandierata vocazione all’eradicazione del terrorismo di area sunnita (e che io non fatico a definire di ispirazione wahabita). C’è da dire che l’attuale presidente degli states si è sempre dimostrato un grande amico dell’NRA e quindi non deve stupire troppo la sua vicinanza ai produttori d’armi. Diciamo soltanto che la virata è stata molto più brusca di quanto ci si aspettasse, e che ormai appare conclusa. Dal possibile (e scabroso, per certi versi) avvicinamento alle politiche russe si è tornati a posizioni più tradizionalmente stars-n-stripes, aiutati anche dalle intemerate anticomuniste dal sapore reaganiano nell’affaire Coreano.

Ma torniamo al caso recente. Secondo alcuni media, in meno di 10 anni gli stati uniti hanno venduto 115 miliardi di dollari di armi ai Sauditi. Secondo questa premessa, il viaggio di Donald Trump in Arabia, Israele ed Italia altro non sembra che il manifesto di una politica estera determinata dall’industria bellica e dalla fabbrica del consenso (almeno parte di quello che aveva ammaliato in precedenza). L’accordo appena concluso è noto: Ryhad acquisterà dagli Usa armamenti per 110 miliardi di dollari. Si tratta solo di una prima trance, l’obiettivo è di arrivare alla cifra record di 350 miliardi di dollari nel giro di pochi anni. L’Arabia Saudita, a cui anche il governo italiano vende i suoi armamenti, li sta adoperando per sterminare i civili su un altro scenario che vede USA e Russia fronteggiarsi per interposta persona: lo Yemen. A partire dal marzo del 2015 quello sfortunato paese conta di più di 16.000 persone uccise (10.000 i civili) e 3 milioni di sfollati.

Ma se quanto accade ai civili dello Yemen colpisce solo di striscio ( di pochissimo striscio) le nostre coscienze, quello che ci accade vicino è tutt’altra storia.

Oggi, a scuoterci, sono le giovani vittime dell’attentato di Manchester, ma è noto che l’Arabia Saudita ha finanziato e sponsorizzato l’Isis. Una contraddizione di cui nessuno parlerà. Eppure cose da dire ce ne sarebbero. Il documento numero 131801 di WikiLeaks del 30 dicembre 2009 riporta queste inquietanti frasi di Hillary Clinton:

L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba (un’organizzazione terroristica asiatica, ndr) e altri gruppi terroristici…”.

Sappiamo che l’ISIS nasce come costola Qaedista Irachena. Il cerchio si chiude.

L’azione esecutiva negli USA non appare fissata dalla politica. Le urne avevano espresso un presidente certamente tronfio e machista, ma dalle idee apparentemente antipodiche rispetto alle azioni attuali. Il sospetto è che invece gli americani si stiano muovendo guidati da grumi di potere formati da potentissime lobby. Se non si comprendono i reali rapporti di forza tra politica ed economia la realtà apparirà sempre distorta. E dire che per quanto riguarda gli states non c’è bisogno di retropensiero per gridare al lobbysmo, dato che esso è un meccanismo agente alla luce del sole.

Chiudiamo il discorso con una nota a margine. In perfetta coerenza con quanto fin qui sostenuto, Trump ricorderà poi a Gentiloni che gli USA propongono di innalzare al 2% del PIL la quota di adesione alla Nato. Questo significherebbe spendere circa 100 milioni di euro al giorno, mentre i ponti cascano, le opere d’arte degradano, le stazioni ferroviarie chiudono e gli ospedali e le scuole vivono una perenne incuria. Certo!, la politica ed i rapporti internazionali non sono guazzabugli a cui si possano fornire soluzioni semplicistiche. Sono disposto ad accettare l’idea che non si possa pretendere un diniego netto da parte del governo italiano, in questo caso così come in altri mille. Cionondimeno io trovo estremamente irrazionale il risultato delle sottili ed intelligenti trame internazionali.

Bisogna allora agire politicamente, in prospettiva, da occidentali, per cercare di raddrizzare certi meccanismi e garantire un futuro più razionale e pacifico ai nostri figli (ed a quelli dei nostri nemici).

La proposta di MO Unione Mediterranea sulla tracciabilità della filiera delle armi vuole partecipare a questo moto raziocinante, e rientra nel concetto espresso dall’intuito di Giovanni Falcone secondo il quale seguendo il percorso del danaro si arriverebbe alla radice di un male. In questo caso si potrebbe capire chi arma questi terroristi i quali, come un cane che si morde la coda, alimentano a loro volta la necessità di produrre armi per difendersi dalla loro minaccia. Una situazione win-win per l’industria bellica internazionale che dovrebbe poter essere tracciata pubblicamente.

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