Arte della pizza candidata a patrimonio dell’UNESCO. Pizza napoletana, non dimentichiamolo.
“Sarà l’arte dei pizzaiuoli la candidatura italiana all’Unesco per il patrimonio immateriale made in Italy”. Ad annunciarlo su Twitter è il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina. Il ministro non specifica che la protagonista è napoletana, così come napoletana è l’arte della vera pizza, quella che tutti amano e riconoscono nel mondo, nonostante i tentativi di famose associazioni eno-gastronomiche di accontentare un po’ tutti affiancando alla pizza napoletana le varie focaccine e suole di scarpa farcite prodotte nel Paese.
La candidatura della pizza “tutela un settore che vale 10 miliardi di euro ma soprattutto un simbolo dell’identità nazionale”, commenta il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo dopo la riunione della Commissione di valutazione nazionale per l’Unesco. L’arte dei pizzaiuoli napoletani, riferisce ancora la Coldiretti, sarebbe il settimo ‘tesoro’ italiano ad essere iscritto nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale riconosciuto dall’agenzia dell’Onu.
A parte la straordinaria arte cremonese della produzione di violini, quale potrebbe essere la provenienza delle rimanenti 5 arti italiane già riconosciute? Ovviamente sono tutte tipicamente meridionali: dieta mediterranea, opera dei Pupi, canto a tenore della cultura pastorale sarda, celebrazione delle grandi strutture processionali a spalla come la Festa dei Gigli di Nola, la coltivazione della ‘vite ad alberello’ di Pantelleria.
Chiamateci campanilisti, ma la palla al piede d’Italia, come alcuni amano auto convincersi, ha prodotto e continua a produrre cultura. La parte esilarante è che all’occorrenza il Sud non è più il grande bordello. Da Napoli in giù, la linea Maginot delineata da Renzi durante il suo colloquio con il Ceo di Apple Tim Cook scompare miracolosamente quando si tratta di farsi belli all’estero. Non mettiamo in dubbio la buona fede di alcuni, forse addirittura di tanti, ma ancora stupisce che l’Italia delle (quasi) 7 bellezze trascuri nei fatti la parte del Paese che elogia in altre occasioni.
Per la Commissione designatrice “l’arte dei pizzaiuoli ha svolto una funzione di riscatto sociale, elemento identitario di un popolo, non solo quello napoletano, ma quello dell’Italia. E’ un marchio di italianità nel mondo“. Per capirci: quando fa comodo, una cosa è di tutti, quando i napoletani, ma non solo, rivendicano dignità e rispetto per la propria cultura vengono bollati come anacronistici e vittimisti.
La candidatura ha anche l’obiettivo di evitare “contraffazioni”, come lo “scippo” da parte degli americani, che nei giorni scorsi avevano annunciato la candidatura della “pizza” american-style. Sacrosanto, ma perché lo stesso ragionamento non vale per la mozzarella di bufala, che oramai può produrre chiunque in Italia, oppure per le imitazioni regionali della pizza? Cosa accadrebbe se da Aosta o Catanzaro partisse la produzione di parmigiano? Sospettiamo che qualcuno, come popolo, si sentirebbe scippato.
Plaudiamo la meritata candidatura dell’arte dei pizzaiuoli napoletani. Ciò che l’Italia non merita, invece, è il premio per la coerenza.
Di Eva Fasano