Grazie Pietro. Uni ricordo del grande Mennea

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Pietro Mennea non era simpatico. Era spigoloso come il suo volto, e ancora più spigoloso diventava nello scatto finale, quando sembrava che anche gli zigomi, il mento prominente con la scucchia alla Totò e gli occhi fuori dalle orbite partecipassero allo sforzo di superare i limiti del corpo e dello spazio per tagliare il nastro. Quando correva diventava un arco di nervi teso a scagliare la freccia oltre il traguardo. E freccia del Sud fu battezzato quel ragazzo di Barletta che riuscì a bruciare fior di velocisti da mosca bianca in una selva nera di gazzelle. Il suo mito aveva battuto in velocità il suo medagliere, la sua fama era corsa più veloce dei titoli olimpionici che non furono poi così generosi con lui. Ma Mennea diventò metafora del Sud che vuol colmare con uno scatto e un colpo di reni il divario col resto d’Europa. La sua faccia tesa riassumeva lo sforzo di volontà, la concentrazione dopo la fatica, l’orgoglio del meridione e pure la smentita simbolica che la lentezza e l’inerzia fossero la condanna fatale del Sud. Piè Veloce e la Tartaruga … Ma Mennea fu il precursore dell’exploit pugliese degli anni seguenti. Mennea ha bruciato sul tempo la sua generazione e, dopo una rapida malattia, da scattista, ha tagliato il traguardo della vita. La vita è volata, resta nel mito la velocità

Così viene ricordato il grande Pietro Mennea in Ritorno al Sud, di Marcello Veneziani, Ed. Mondadori-2015. Un libro tutto da leggere per ricordare chi siamo noi meridionali e da dove veniamo.
Senza alcuna rivendicazione politica e con un po’ di malinconia, ma con una profonda analisi su chi eravamo, cosa stiamo perdendo e cosa abbiamo già perso. Essere mediterranei deve tornare ad essere un orgoglio. Scegliere di restare, un diritto fondamentale.

Nel quarto anniversario della morte di Pietro Mennea, vogliamo ricordare come la forza di volontà di un uomo può portare a risultati grandiosi. Nato in una modesta famiglia di Barletta, oltre a raggiungere il livello di mito dell’atletica leggera italiana con i suoi record nei 100 (ancora imbattuto a livello nazionale) e nei 200 m del 1979 (rimasto imbattuto per 17 anni a livello mondiale ed ancora insuperato a livello europeo), egli rappresenta il modello da seguire non solo per gli sportivi. Si laureò in: giurisprudenza, scienze motorie e sportive e lettere. Fu parlamentare Europeo e Professore universitario. Terminata la carriera sportiva, lavorò come commercialista, avvocato, insegnante di educazione fisica e curatore fallimentare.

Più che per i suoi risultati, a nostro avviso, preferirebbe essere ricordato per i principi di cui si fece portavoce. Per prima cosa, la sua persona dimostra che, in ogni ambito, volere è potere. Non solo. Infatti, fu fondatore della onlus Fondazione Pietro Mennea. Da come si legge sul relativo sito, “Scopo della Fondazione, priva di ogni fine di lucro, è l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale. Infatti, lo scopo primario della Fondazione è di carattere filantropico, ossia effettuare donazioni costanti nel tempo ed assistenza sociale ad enti caritatevoli o di ricerca medico-scientifica, associazioni culturali e sportive, attraverso progetti specifici e concreti, che avranno carattere di massima trasparenza. Lo scopo secondario è di carattere culturale, e consiste nel diffondere lo sport ed i suoi valori, nonché promuovere la lotta al doping, che è diventata una triste piaga per lo sport e la nostra società.”

Sebbene possiamo immaginare quanto enormi siano stati i suoi sacrifici, Mennea si è più volte dichiarato fortunato ma non ha mai dimenticato le sue origini e le persone meno fortunate di lui. Valori da condividere pienamente, indipendentemente dalla lotta politica che portiamo avanti. Simbolo del fatto che ognuno di noi ha la responsabilità di essere cittadino e di dare il proprio contributo, nella forma che ritiene più opportuna, alla propria comunità.

Grazie Pietro!

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