Xylella: cui prodest?
Qualcuno di loro è sopravvissuto alla peste, quasi tutti hanno visto gli Asburgo, i Borboni, la nascita del Regno d’Italia, ben due guerre mondiali. Nulla sembrava poterli abbattere, finché il malvagio batterio Xylella non è approdato sulle nostre terre per annientarli. Chi? Gli olivi plurisecolari della Puglia. Sono quasi tre anni ormai che la Xylella semina il panico. La verità, però, è che la cosiddetta “epidemia” non riguarda solo il celebre batterio, ma il CodiRo, complesso di disseccamento rapido, infatti non è ancora stata accertata l’effettiva patogenicità della Xylella e ancora nessuno è stato in grado di rilevare i sintomi del CodiRo in assenza di concause determinanti, come l’eccessivo utilizzo di agenti chimici, i nuovi metodi di sfruttamento intensivo del terreno e la presenza di diversi funghi patogeni. Anzi, a dirla tutta la Xylella non è per niente nuova agli alberi salentini, infatti i periti della Procura di Lecce hanno recentemente affermato che il batterio si sia stabilito sui nostri ulivi almeno quindici o venti anni fa.
Raccontata così questa Xylella non sembra essere terribilmente letale ma, anche quando il temibile batterio fallisce, le istituzioni corrono a darle man forte: dal 2013 sono stati abbattute migliaia di piante plurisecolari per motivi di “contenimento e prevenzione” senza test di laboratorio a dimostrarne l’infettività.
Sembra scontato dire che gli olivi pugliesi facciano parte del patrimonio culturale e paesaggistico del territorio ma, data la facilità con cui sono stati condannati a morte, è evidente che qualcuno lo abbia dimenticato. Chi lo sapeva bene, invece, era il governo Parri che firmò il decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475 riguardante il divieto di abbattimento di alberi di olivo, oltre il numero di cinque ogni biennio, specificando che “il divieto riguarda anche le piante danneggiate da operazioni belliche o in stato di deperimento per qualsiasi causa”, immaginate? 1945, un paese da ricostruire e Parri pensava agli ulivi, viene quasi il dubbio che fossero considerate piante importanti. La legge fu riconfermata nel 1951 e addirittura nel 2007 con la Legge Regionale n.14. Una legge definita “all’avanguardia” e che, come tutte le leggi all’avanguardia, dà fastidio a qualcuno, tanto che la stessa verrà integrata nell’aprile 2013 con la R.L. Puglia n. 12/2013. Si scrive “integrazioni” ma si legge “stravolgimento”, poiché già nell’articolo 1 essa apre la possibilità di espiantare gli ulivi, anche quelli monumentali, per fabbricati (pubblici o privati), strade e aree ad uso collettivo in zone che siano anche parzialmente edificate. Che significa? Che da aprile 2013 praticamente chiunque può far sradicare centinaia di anni di storia e costruirci qualcosa di più redditizio. Non finisce qui, perché appena qualche mese dopo, a seguito di una “folgorante intuizione” di fine agosto, viene tirata fuori dal cilindro la prima pubblicazione ufficiale sul ritrovamento del batterio di Xylella Fastidiosa nel Salento. Passa solo un altro mese quando, con la delibera della Giunta Regionale nr. 2023, vengono emanate le misure d’ “emergenza e prevenzione” che nel giro di poco tempo porteranno all’abbattimento dei primi centoquattro alberi.
Mentre nel corso dei mesi le misure di prevenzione mietono centinaia di verdi vittime, qualcosa cambia nelle zone considerate infette: si parla di progetti urbanistici, resort e campi da golf ma, appena si sparge la voce, molti progetti vengono cancellati. Un buon esempio però è rimasto ed ha già fatto scalpore: il Comune di Taviano ha approvato la realizzazione di una discoteca in zona Li Sauli, a due passi dalla turistica Gallipoli. Appena una settimana dopo l’acquisto del suddetto terreno una perizia aveva dichiarato la presenza di ben 16 ulivi (secolari) infetti, cioè da espiantare. Quale poteva essere l’interesse ad acquistare un terreno destinato al verde agricolo se gli alberi presenti manifestavano già i chiari sintomi del disseccamento?
Non sappiamo se la Xylella sia una realtà o una fantasia montata ad hoc, l’unica certezza è che non è così che si tutela il patrimonio culturale e l’economia del Salento. Siamo stanchi di pagare così cari gli interessi della classe dirigente, sempre pronta a sacrificare i patrimoni del Mezzogiorno. Tutti noi siamo interessati alla creazione di imprese e posti di lavoro nella terra nostra, ma siamo anche consapevoli che queste “scorciatoie” verso il profitto non fanno l’interesse di tutti. Presto impareremo ad alzare la testa, come già fanno da mesi i coltivatori salentini per difendere i loro maestosi alberi.