LA COLONIZZAZIONE MENTALE I PARTE: UNA DEFINIZIONE
Di Antonio Lombardi
Che cos’è la colonizzazione mentale di cui spesso si discute?
Io la definisco così: la colonizzazione mentale è l’induzione alla soggezione psicologica e culturale accompagnata dalla giustificazione ad oltranza di coloro che la praticano.
Questa definizione tiene conto:
• della volontarietà dell’azione di assoggettamento. La colonizzazione mentale non è un mero “effetto collaterale” della colonizzazione economica e politica ma, anzi, è uno dei cardini della strategia di conquista e sottomissione di un popolo.
• Delle due aree in cui essa si radica. La sfera psicologica, anzitutto, attraverso la quale si diffonde il sentimento di inferiorità e di impotenza al cambiamento. L’ambito culturale, che si impregna di un’altra convinzione: quello che il colonizzato produce non vale quanto quello che produce il colonizzatore. La lingua, le tradizioni, le opere d’arte, i simboli, eccetera, di quest’ultimo appaiono sempre più belli, più importanti, più validi di quelli del colonizzato.
• Della persuasione diffusa tra gli assoggettati, e difficile da smantellare anche davanti ad evidenze, che l’oppressore ha motivi validi per praticare la sottomissione o, almeno, che chi la subisce meriti tale trattamento.
Questa condizione così alienata dell’individuo e della comunità è possibile superare attraverso una duplice azione educativa che punti alla crescita del senso critico.
Essa deve anzitutto accompagnare e aiutare le persone a sviluppare la capacità di compiere uno spostamento dell’attenzione dall’oggetto della conoscenza ai modi propri del conoscere. A porsi senza interdizioni, divieti, blocchi, la domanda: “Come sto conoscendo la realtà? Da dove mi viene il mio modo di conoscerla?”, invece di continuare a interrogarsi solo e sempre su: “Che cos’è che ho davanti?”. Perché, in tal caso, la risposta sarebbe probabilmente scontata, formulata a partire da quelle convinzioni indotte che operano come un filtro, come una lente colorata.
Ciò deve essere completato con un’irrinunciabile lavoro di educazione all’identità, intesa come riscoperta e valorizzazione del patrimonio storico, simbolico, valoriale, esperienziale e culturale che identifica un popolo come comunità con una propria spina dorsale, e non più come triste e fragile distesa di canne piegate da ogni vento che soffi.