LA COLONIZZAZIONE MENTALE III PARTE: DALL’ANNIENTAMENTO ALLA DECOLONIZZAZIONE

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Di Antonio Lombardi

C’è un sottile messaggio che aleggia tra un gruppo di potere colonizzatore e la sua vittima colonizzata, è uno scambio che potrebbe riassumersi così:
– “Senza me non riuscirai a stare in piedi da solo, a sopravvivere, a difenderti!”.
– “Senza te non riuscirò a stare in piedi da solo, a sopravvivere, a difendermi!”.
Questa relazione sostiene tanto le insicurezze e paure del soggetto dominante, mascherate con la supponenza della superiorità, quanto le debolezze del soggetto dominato, che si aliena nell’abbraccio fatale con il suo oppressore. In realtà la dipendenza è reciproca: entrambi non hanno imparato ad essere liberi senza svalutare se stessi.

Il dominatore è un soggetto parassita e, nel rapporto con il dominato, l’invidia e la possessività giocano un ruolo centrale: il risultato è la distruzione e l’impoverimento di entrambi.
– “Senza la mia colonia meridionale, da usare e sfruttare, non potrò mantenere il livello alto dei miei servizi e del mio tenore di vita!”, dice il Nord.
– “Senza il mio colonizzatore settentrionale, che è più capace di me, non riuscirò a fare nulla di buono!”, risponde il Sud.

La relazione di dipendenza e di parassitismo viene mantenuta in piedi attraverso l’annientamento dell’identità, che si esprime in direzione di tre fondamentali orizzonti distruttivi: annientamento socio-culturale, annientamento ambientale, annientamento fisico. Ciascuno di essi contiene un preciso messaggio al soggetto dominato, che viene educato ad impararlo, ad introiettarlo, a farlo proprio, a condividerlo e a collaborarvi.

Sul piano socio-culturale il messaggio imposto è duplice.
Il primo è: “devi adeguarti al nostro modello di vita”, cioè devi vivere in maniera funzionale ai nostri vantaggi, la tua vita vale nella misura in cui contribuisce a rinforzarli.
Il secondo è: “quello che produci tu non vale quanto quello che produciamo noi”. Pensiamo alla concretizzazione di questo principio, ad esempio, nell’esclusione dai programmi scolastici degli autori meridionali, o nella messa in ombra degli artisti. Viene in mente, ad esempio, il caso paradossale di Luca Giordano, napoletano, che ancora vivente ebbe grande fama internazionale e che oggi l’Italia non elenca mai con i grandissimi miti della pittura. Oppure lo svilimento della lingua locale, attraverso l’equazione: se parli napoletano o siciliano, eccetera, sei ignorante, se parli italiano sei istruito. O, ancora, la valorizzazione assoluta di alcune tradizioni e l’abbandono all’oblio e alla morte di altre: un esempio? Il Palio di Siena, da un lato, che viene sollecitamente promosso (nonostante, tra l’altro, le forti riserve sul trattamento degli animali) e Piedigrotta, dall’altro, che non ha mai beneficiato di una campagna promozionale statale. Le tradizioni del Centronord valgono più di quelle del Sud.

Sul piano ambientale l’annientamento dell’identità opera sulla scorta di questo messaggio: “non devi ritrovare i luoghi della tua storia e del tuo esistere quotidiano”. Per questo si sostituiscono i simboli della comunità occupata, si cambiano i nomi delle strade, ma anche si devasta il territorio ed il paesaggio, si lascia che i beni culturali cadano in degrado.

Il terzo annientamento è quello fisico e il messaggio che lo anima è: “non devi esistere qui e ora nella tua diversità”. Le pratiche violente utilizzate sono lo sterminio (pensiamo alla repressione del 1860-70 nei territori delle Due Sicilie) e l’emigrazione forzata come espulsione dal territorio.

L’autonomia comincia quando la svalutazione di sé viene messa in discussione e si fanno passi avanti per recuperare verità, autostima e giustizia, prendendo concretamente, le distanze dal legame limitante.

Come può avvenire questo passaggio?
Il Mezzogiorno è rinchiuso e si lascia rinchiudere entro un confine pedagogico e politico, perdendo quote smisurate di libertà. Questo confine è tracciato anzitutto, come abbiamo già indicato, dall’abitudine indotta a pensarsi in funzione di qualcun altro, risultato di un preciso disegno educativo, cui generazioni di interessati maestri hanno dato corpo. L’idea centrale è che ad avere concretamente il potere economico e culturale e il diritto ad esercitarlo, possa essere scontatamente e legittimamente una sola parte della popolazione dell’Italia: quella del Nord e non quella del Sud.
Questa architettura pedagogico-politica presenta tuttavia un intrinseco ed inevitabile punto debole, puntualmente sottaciuto proprio per la sua “pericolosità”, cioè per la capacità di mettere in discussione tutto il sistema. Ed è proprio questo tallone di Achille a costituire, paradossalmente, la radice ultima sia del potere di dominio che della forza di cambiamento: il consenso e la collaborazione.
Il consenso va inteso come adesione cognitiva ed emotiva al sistema: lo considero giusto, mi piace.
La collaborazione è espressione del consenso, sul piano del comportamento: lo considero giusto, mi piace, obbedisco. La collaborazione può essere anche inconsapevole, presente nonostante il dissenso, il quale è il rifiuto cognitivo ed emotivo del sistema: è ingiusto, non mi piace.
Consenso e collaborazione acritici si esprimono in una miriade di forme quotidiane: da come si riempie il carrello della spesa, a dove si va in vacanza, a come si reagisce ad un programma televisivo, eccetera. Forme su cui si fonda tanto la possibilità di rinforzare le scelte operate dal sistema di potere, quanto di modificarle o persino di abbattere quel sistema stesso. Apprendere, educarsi ed educare alla capacità di dire “no” a quel disegno, per dire “sì” ad uno alternativo, è trasformare consenso e collaborazione da fattori di rischio ad opportunità di autonomia. È varcare il confine che soffoca il Sud, che ne recinta la mente e i comportamenti politici.

La colonizzazione mentale è il frutto di un lungo processo di apprendimento, di cui l’annientamento dell’identità rappresenta al tempo stesso l’innesco e l’obiettivo finale. Un movimento politico che si ponga l’obiettivo della liberazione della comunità messa sotto scacco, non può rinunciare a farsi carico anche di una responsabilità educativa, formativa e informativa. Aiutare a vedere, a vedere veramente. Solo un’attenta ed organizzata azione di questo tipo, infatti, può contrastare quel processo di annichilimento, questa guerra alla libertà e alla pace degli individui e della comunità assoggettata. Come ricorda il Preambolo alla Costituzione dell’UNESCO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura: “Poiché le guerre hanno inizio nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”.
Se guardi da lontano la tua condizione, non sarai consapevole dei pericolosi legami che stai intessendo e vedrai solo il tuo padrone. Ma se ti avvicini e fai attenzione, guardando le cose ad una ad una, così come sono, vedrai la libertà.

Nella foto: Oleg Shuplyak, Illusione ottica (2009).

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