LA COLONIZZAZIONE MENTALE II PARTE: LA COLONIZZAZIONE COME PRATICA EDUCATIVA
Di Antonio Lombardi
Nella breve I parte ho definito la colonizzazione mentale come “l’induzione alla soggezione psicologica e culturale accompagnata dalla giustificazione ad oltranza di coloro che la praticano”.
Spiegavo che questa mia definizione teneva conto di tre elementi fondamentali: 1) la volontarietà dell’azione di assoggettamento; 2) il suo radicamento in due aree: psicologica e culturale; 3) la persuasione, da parte dell’assoggettato, che l’oppressore abbia motivi validi per praticare la sottomissione.
Vediamo ora alcuni aspetti specifici di questo processo di colonizzazione nella prospettiva di pratica educativa.
Anzitutto non bisogna immaginarlo necessariamente in chiave totalizzante: questo significa che ciò che conta non è tanto l’occupazione completa di ogni spazio di produzione e riproduzione del pensiero e dei valori, quanto il controllo di alcuni gangli nevralgici. Per assoggettare il colonizzato è utile soprattutto pianificare “scientificamente” la veicolazione dei messaggi. In tal modo è immaginabile che persino una minoranza possa tenere in scacco una maggioranza incommensurabilmente più ampia. La storia della colonizzazione geografica e l’attualità di regimi dittatoriali ne contengono prove schiaccianti.
Un altro elemento chiave è la “supereducazione” di alcuni collaboratori interni alla comunità da sottomettere. La creazione, cioè, di un gruppo di affidabilissimi e devotissimi che, ben motivati, istruiti e premiati (in denaro, prestigio, privilegi, vantaggi, carriere, eccetera), concorrano a reggere l’impalcatura del pensiero unico coloniale. In realtà sono essi i protagonisti preziosi della grande opera: supereducati essi stessi, educano a loro volta, soprattutto smentendo (magari arrampicandosi sugli specchi) le voci del dissenso. In questo quadro vanno, ad esempio, ricondotti quegli storici che si prodigano nel ribattere colpo su colpo le nuove visioni del passato, generate da documenti inediti od osservazioni da prospettive inusuali e “non ortodosse”. Questo significa anche, ed ecco un altro perno del processo di colonizzazione mentale, la contestuale creazione di credenze e narrazioni ufficiali, la sacralizzazione della figura del colonizzatore accompagnata dallo svilimento del colonizzato come essere inferiore e dall’emarginazione dei narratori divergenti. In Italia questo meccanismo, ad esempio, si concretizza con l’attribuzione del marchio di “leghista” a coloro che mettono in discussione il cosiddetto Risorgimento, anche se le osservazioni critiche dovessero provenire da aree e soggetti palesemente scevri da quegli elementi che giustificherebbero una tale etichettatura politica. Emarginare per controllare; sacralizzare il nucleo concettuale e valoriale che costituisce la motivazione del controllo, rendendolo scontatamente intoccabile: un tabù. Gli stessi “padri” portatori dell’azione colonizzatrice finiscono per rientrare in questa interdizione sacrale: sempre al di sopra di critiche e di possibili riesami obiettivi. Chi avesse l’ardire di oltrepassare il confine della reverenza sarebbe velocemente da condannare.
Un ultimo interessante aspetto riguarda le forme di opposizione che comunque dovessero prodursi. Ebbene, mentre sono tollerate (o, in casi particolari, addirittura promosse) pratiche di obiezione di coscienza e noncollaborazione, come forma di libera espressione, questo diritto cade quando l’obiettivo è il sacro colonizzatore. Si potrà replicare quanto sia ovvio che ciò accada, altrimenti un regime non sarebbe tale. Certamente, ma quello che desidero sottolineare è che l’aspetto più stringente, nella cornice che abbiamo delineato, non è tanto l’attività repressiva in termini di privazione dell’integrità fisica, della libertà, della vita –che pure può esistere- quanto quella di coercizione psicologica, che può assumere forme anche assai dissimulate. Il paradosso della relazione di colonizzazione è che il colonizzatore offre margini di libertà di pensiero al colonizzato, lo fa sentire libero e liberato, gli riconosce persino un diritto al disaccordo, ma in realtà lo sta intrappolando come un cavallo coi paraocchi, affinché non imbizzarrisca.
Alla fine di questo processo educativo, quando la tua identità sarà stata spazzata via, saprai di te stesso quello che il tuo padrone vuole che tu sappia e avrai perfino la libertà di mettere in discussione tutto e tutti: eccetto lui e il suo valore. Questo è il vero potere e il volto senza maschera della colonizzazione mentale.
Nella foto: Magritte, L’invenzione della vita (1927)