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Ultimi in tutte le statistiche. Ma perché?

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Come ogni anno, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha pubblicato il documento in cui vengono scrupolosamente raccolti i dati che descrivono la situazione di fatto delle infrastrutture portuali italiane. (“Diporto Nautico, 2016”)

Un’analisi si rende necessaria per fare in modo che questi rilievi non siano fini a sé stessi. Solitamente, grazie al fatto che i grandi media posseggono un punto di vista lontano da quello meridionalista, le analisi che ci vengono propinate tendono a prendere in considerazione dati significativi con lo scopo di avallare idee ed interessi di una sola parte del Paese.

Dal canto nostro, ci piacerebbe fornirne un’interpretazione diversa.

Per iniziare, di seguito riportiamo in grafici, i dati più significativi. Nel primo, si osserva la ripartizione regione per regione dei posti barca per km di litorale. È evidente la differenza di capacità recettiva tra regioni del Sud (12.2), Centro (29.4) e Nord (72.5) Italia. Abissale è la differenza tra il Friuli Venezia Giulia (177.8) e Calabria (7.4).

Ci si aspetterebbe almeno che, essendo al centro del Mediterraneo, le regioni del Mezzogiorno d’Italia, nonché storicamente approdo di civiltà che grazie al mare hanno fatto la storia dell’Occidente, abbiano il maggior numero di posti barca in termini assoluti. In realtà, a discapito della differente estensione di coste, ripartita in 76 % per il Sud e le Isole, 14% per il Centro e solo il 10% per il Nord, paradossalmente i posti barca danno una fotografia completamente diversa della geografia italiana. L’Italia meridionale e le isole posseggono soltanto il 45% dei posti barca totali contro il 34% di quelli presenti nelle regioni settentrionali.

Vedendo questi dati, la prima domanda che ci si pone è: perché questo enorme divario?

Per trovare (forse) una risposta bisogna andare a leggere attentamente la tabella A a pag 13 del documento. L’indice di affollamento indica il numero di natanti registrati ogni 100 posti barca. Questo numero è molto più elevato nel nord del paese che nel sud, fatta eccezione per regioni come Lazio e Campania, dove si raggiungono valori di 137.8 e 102.7 rispettivamente.

Per quanto riguarda le regioni Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna, a commento della tabella si dichiara che “dispongano da un lato di una densità di posti barca sensibilmente inferiore alla media nazionale e dall’altro di un numero di punti di attracco notevolmente superiore a quello delle unità da diporto iscritte. Dato, quest’ultimo, che mette in luce un assetto infrastrutturale destinato a soddisfare l’elevata domanda di posti barca per le imbarcazioni turistiche provenienti nei mesi estivi dall’Estero o da altre Regioni”. Senza aggiungere altro.

Ma questa non sembra essere una risposta soddisfacente alla domanda iniziale. Infatti, sembra che questa frase sia stata utilizzata per giustificare il fatto che non sia più necessario investire in strutture portuali in queste regioni. Non è possibile leggere questo tipo di affermazioni in un documento il cui solo obiettivo dovrebbe essere quello di fornire numeri. Ogni valutazione dovrebbe essere avallata da ulteriori numeri e nulla viene detto sul numero di occupazioni imputabili a imbarcazioni turistiche durante la stagione estiva.  Inoltre, all’interno dello stesso documento, nulla viene detto in merito alla situazione del Friuli Venezia Giulia che riesce ad avere ben 180 posti barca per km, laddove l’indice di affollamento è pari a soli 24.7, evidenziando un grosso sovradimensionamento infrastrutturale.

Ora, visto che non possiamo accontentarci di quanto ci viene suggerito, abbiamo provato ad andare avanti nella elaborazione dei dati.

Da un’analisi più approfondita del documento, ipotizzando che chi possiede una patente nautica possa essere proprietario di una delle imbarcazioni iscritte nel registro regionale, si è cercato di capire quale sia la percentuale di abitanti per regione che gode di questa licenza.

Osserviamo che:

  • sebbene si possa pensare che il numero di patenti nautiche sia proporzionale ai km di costa regionali, poiché indicativi della percentuale di popolazione che vive a ridosso del litorale, si sottolinea che in regioni con pochissimi km di costa si ha lo stesso numero di patenti nautiche per mille abitanti rispetto a isole come la Sicilia, la Sardegna, Calabria o Puglia.
  • in Calabria solo 0.9 cittadini ogni 1000 posseggono una patente nautica mentre in Liguria questo numero sale a 5,81, considerando che i km di costa Calabresi sono circa 6 volte quelli liguri.
  • regioni come Campania e Sicilia, che hanno 4.28 e 12.11 volte la lunghezza di costa dell’Emilia Romagna oppure 3.72 e 10.53 l’estensione delle coste venete, il numero di persone con patente nautica per mille abitanti risulta paragonabile (Campania=0.99; Sicilia=0.87; Veneto=0.81; Emilia Romagna=1.25).
  • la Sardegna (1.54 persone con patente nautica ogni 1000), con il 26 % della costa italiana viene superata dal Friuli Venezia Giulia (1.96) che ne possiede il solo 1,33%.

Ma allora viene da chiedersi: perché la domanda di posti barca è così ridotta nel Mezzogiorno?

Basta andare a vedere il reddito pro-capite dei cittadini e chiedersi quanti potrebbero permettersi una imbarcazione, che ricordiamo essere classificato come bene immobile.

Per assurdo, si potrebbe immaginare che in Calabria ci siano le stesse condizioni economiche che in Veneto, in Puglia quelle del Friuli Venezia Giulia e così via. Non si può negare la facile previsione per cui, a quel punto, il numero di persone che possa permettersi di acquistare un’imbarcazione crescerebbe. Lo stesso incremento si avrebbe per i possessori di patenti nautiche, il coefficiente di affollamento e la necessità di posti barca.

Ma a quel punto bisognerebbe vedere se anche lo Stato sarebbe disposto a fare in modo che l’offerta di posti barca aumenti, togliendo risorse a quella parte di Paese di cui oggi tutti richiedono l’autonomia con un referendum farlocco. Bisogna vedere se lo Stato, di fatto, volesse garantire a tutti i suoi cittadini le stesse possibilità economiche, sociali, infrastrutturali. Bisogna vedere se lo Stato garantirebbe che l’egual desiderio di acquistare un’imbarcazione di due cittadini, uno del nord ed uno del sud, possa realizzarsi allo stesso modo.

Allo stato attuale però, il problema nasce a monte. Generalmente, il cittadino del sud non ha desideri e spesso non sa dove sbattere la testa per arrivare a fine mese a causa di mancanza di possibilità di lavoro. Una situazione causata da una lunga serie di condizioni sfavorevoli tra cui si possono solo citare l’oggettivo sottosviluppo infrastrutturale, una minore quantità di risorse investite nelle Università meridionali, una sanità al fallimento.

Ma la politica nazionale troverà sempre un buon motivo per non promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno. Il bello è che troverà anche il modo di farcelo accettare!

Michele Pisani per MO!-Unione Mediterranea.

 

 

Hic sunt Leones. Le infrastrutture al Sud: storie di ordinario malgoverno

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Che il meridione fosse rimasto abbandonato a sé stesso da ormai più di qualche decennio (circa 16), è una cosa che forse poteva sembrare chiara solo ad alcuni. Ma negli ultimi anni non lo nota solo chi non vuole.

Possiamo parlare di infrastrutture, ad esempio. Dopo ogni ondata di maltempo interi territori rimangono isolati e abbandonati al loro destino. Il comprensorio montano delle Serre Vibonesi, in Calabria, in cui si sta anche registrando un veloce ed inesorabile spopolamento, sta urlando disperazione per la situazione in cui versano le sue strade provinciali e statali. Esse rappresentano l’unico modo per raggiungere vie di comunicazione più importanti, dislocate lungo le coste jonica e tirrenica: la famosa A3 Salerno – Reggio Calabria, la SS106 Taranto – Reggio Calabria, le ferrovie e l’aeroporto di Lamezia.

Non solo, la comunicazione tra i vari centri montani risulta a volte quasi impossibile, con automobilisti costretti ad allungare il loro tragitto a causa di continue frane e smottamenti che, attivi dal punto di vista geologico, aspettano solo il momento giusto per raggiungere valle e rimanere lì come una spada di Damocle sulla testa dello sfortunato ed ignaro automobilista. Sindaci e cittadini si stanno mobilitando per suggerire di far passare la manutenzione della rete viaria dalla provincia, in dichiarato stato di dissesto economico, direttamente all’ANAS.

La famosa Trasversale delle Serre (SS713 Soverato – A3, Svincolo Serre), il cui scopo sarebbe quello di collegare Jonio e Tirreno passando per questa zona, è un progetto di oltre 50 anni fa, realizzato solo per qualche chilometro e usato ad ogni campagna elettorale per raccogliere consensi. É diventata una barzelletta. Da qualche anno a questa parte, grazie all’impegno di un comitato spontaneo (Comitato Trasversale delle Serre – 50 anni di sviluppo negato), qualcosa sembra muoversi. Lo stato, incalzato dai cittadini, sembra anche stia dando qualche risposta. Non è comunque abbastanza.

Non che le “maggiori vie di comunicazione” versino in migliori condizioni. Non sono più adatte agli attuali livelli di traffico e non risultano nemmeno degne del loro nome. La SS106, che potremmo definire la seconda autostrada calabrese, si trasforma in fiumara quando un evento temporalesco colpisce il litorale jonico. Il tutto documentato da foto e video postati su facebook da automobilisti che percorrendola vogliono indurre altri a prestare attenzione.

La promessa di una nuova e più funzionale – oltre che sicura – SS106, rimane tale. Anche in questo caso, come per la SS713, solo qualche tratto è stato realizzato. Ma la 106, più che una strada sembra un vero e proprio bollettino di guerra: “Sulla S.S. 106, in Calabria, dal 1996 ad oggi, abbiamo avuto oltre 9.000 sinistri e oltre 24.000 feriti; mentre le vittime sono oltre 700. Nel solo anno 2016 abbiamo avuto 32 vittime“.

I dati sono forniti dall’associazione “Basta vittime sulla 106” e sono contenuti in una petizione[1] inviata al Presidente della Repubblica.

Le firme raccolte, secondo un comunicato stampa dell’Associazione, hanno superato le ventimila e sono provenienti oltre che dalle varie province calabresi, anche da altre regioni d’Italia e perfino dall’estero (per sottoscriverla).

Altro evento degno di nota, sempre sulla SS106, è il cedimento del ponte sull’Allaro che il 23 gennaio ha diviso in due la Locride.

Ma la Calabria non è l’unica regione meridionale ad essere stata abbandonata. Dalla Puglia, il 6 febbraio, è partita una petizione, sottoscritta da oltre 3500 persone, per mettere in sicurezza la SS16 Foggia – San Severo, e diretta anch’essa al Presidente della Repubblica. Anche qui si parla di centinaia di vittime e condizioni indegne per una arteria principale come una strada statale.

Si potrebbe continuare a parlare del tema per molto: Matera – meta turistica oltre che capitale della cultura 2019 -, isolata dal resto d’Italia; Sicilia divisa in due a causa di autostrade in pessime condizioni; investimenti sulle ferrovie in Lombardia pari alla somma di tutti quelli fatti nell’intero meridione; chiusura aeroporto di Reggio Calabria e cancellazione della tratta Lamezia Terme – Roma Fiumicino senza che nessuno (a livello politico intendo) si opponesse a questa scelta della compagnia Ryanair.

E per finire, per comprendere a fondo la gravità della situazione, il 2017 è l’anno in cui la Calabria è stata definita come una tra le principali mete per le vacanze estive dal New York Times. Se qualcuno lo sa, ci indichi per favore come l’attuale situazione infrastrutturale in Calabria (ed al Meridione, in genere) potrebbe favorire questi ipotetici turisti.

Insomma, il Sud non ce la fa più. Si moltiplicano comitati e associazioni per rivendicare i diritti basilari che dovrebbero essere offerti a tutti i cittadini in egual misura. E forse per intercettare truffaldinamente questo malcontento che molti insospettabili smemorati cominciano a ricordarsi la Storia (vedi Tremonti, che paragona il comportamento della Germania a quello dei piemontesi riguardo al tema dell’Europa a due velocità).

Ma questa volta non ci faremo imbambolare da qualche specchietto per le allodole.

MO basta! Una nuova generazione di Meridionali sta raccogliendo il testimone, ed è una generazione incazzata. Una generazione allo stremo che intende fare tesoro delle tribolazioni di chi la ha preceduta, ma più consapevole dei propri mezzi. Chi dovrebbe programmare la crescita infrastrutturale del Meridione si è sempre adagiato sulla locuzione “Hic Sunt Leones” con cui i Romani indicavano le aree che non li interessavano, oltre il Limes.

Eppure, al contrario dei Romani, questi signori sono in grado di interessarsi a noi, saltuariamente: miracoli delle campagne elettorali. Ebbene, che vengano! Stavolta, i Leoni, li troveranno sul serio!

 


[1]Ecco il testo della petizione

Dossier Pendolaria 2016

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di Salvatore Merolla

In attesa del Rapporto Pendolaria 2016, che sarà presentato a gennaio, Legambiente anticipa un dossier in cui mostra le 10 peggiori linee ferroviarie per i pendolari italiani. Dai primi dati presentati arriva la conferma che per il trasporto su ferro, come praticamente per ogni servizio fornito in questo paese, se c’è un Nord messo male, ci sarà un Sud messo peggio. Il perchè è semplice, gli investimenti degli ultimi anni sono stati destinati quasi esclusivamente al potenziamento delle linee ad alta velocità… e di queste linee il meridione di certo non abbonda (per usare un eufemismo). La totale assenza di una strategia di potenziamento non può che portare a una differenza di offerta sempre maggiore tra la rete AV e quella ordinaria; ed è così che mentre sulla linea alta velocità Roma-Milano l’incremento di offerta dal 2007 è stata del 276%, regionali e intercity vedono tagli sui trasferimenti che hanno causato una riduzione dei servizi dal 2010 del 6,5% per i primi e del 19,7% per i secondi. Ogni giorno lavoratori e studenti sono costretti a subire gli effetti di questi tagli: diminuzione delle corse, aumento dei tempi di percorrenza, degrado dei treni e delle stazioni; disservizi che, sebbene presenti in tutto il territorio italiano, insistono maggiormente nelle regioni meridionali creando una forte disomogeneità che dovrebbe essere contrastata con interventi massicci da parte dello Stato.

Emblematico l’incidente del 12 luglio 2016, il drammatico scontro fra treni su una linea a binario unico tra Andria e Corato, che evidenziò ancora una volta la diversa situazione delle linee regionali nel paese, anche in termini di sicurezza. Proprio la regione pugliese piazza una linea all’ottava posizione tra le 10 peggiori: la Bari-Martina Franca-Taranto, 112 km quasi tutti a binario singolo (e un’imbarazzante velocità media di appena 41 km/h) per una linea che secondo la Regione Puglia dovrebbe servire 700 mila utenti tra pendolari e turisti.

Osservando le tabelle di Legambiente salta subito all’occhio la differenza tra regioni come Lombardia e Sicilia: la prima vanta 2300 corse al giorno per 10 milioni di abitanti; la seconda, nonostante di abitanti ne abbia 5 milioni, arriva a malapena a 429 corse giornaliere. Nel dossier la situazione siciliana viene definita testualmente “indegna di un paese civile che fa parte dell’Unione Europea”. La Sicilia sfiora il podio piazzando al quarto posto la Messina-Catania-Siracusa, linea che ha visto negli ultimi 15 anni una diminuzione dei treni del 41% e un abbassamento drastico della velocità media.

Medaglia di bronzo per la linea jonica che collega Reggio Calabria a Taranto. In questo caso “collega” è un parolone, parliamo di 4 corse giornaliere (di cui 1 sola diretta, con oltre 7 ore di viaggio), la più veloce impiega 6 ore e 15 minuti con 3 cambi (l’ultimo addirittura in pullman). Una linea disastrata, a binario unico e non elettrificata, che dal 2010 ha subito ulteriori tagli con la cancellazione di 2 intercity, 4 intercity notte, 5 treni espresso, 7 treni espresso cuccetta, 2 treni interregionali.

Sfiora il triste primato, superata solo dalla Roma-Ostia Lido, la Circumvesuviana. La rete ferroviaria, che si estende per 142 km distribuiti su 6 linee e 96 stazioni, fa parte del gruppo EAV e viene definita da Legambiente “la vergogna della mobilità in Campania”. I pendolari che si servono della Circumvesuviana devono fare i conti con i ritardi quotidiani, le corse soppresse (a centinaia in un anno), il degrado di treni e stazioni, la scarsa sicurezza. Negli ultimi anni il numero di treni a disposizione è sceso da 94 a 56, le corse da 500 al giorno a quasi la metà. Quasi identica la situazione delle altre linee gestite da EAV… e stiamo parlando di linee che servono un’area metropolitana di 3,5 milioni di abitanti! Ovviamente il calo di passeggeri dopo anni di disservizi non è tardato ad arrivare, i numeri dal 2010 ad oggi sono impietosi: da 40 a 27 milioni per la Circumvesuviana, da 20 a 11 milioni per Circumflegrea e Cumana, da 67 a 40 milioni per MetroCampania Nordest. L’altra linea del gruppo, l’Alifana, vede ormai l’utilizzo di solo 8 treni diesel, sostituiti nei festivi dal servizio bus.

Altro capitolo nero è quello dell’età dei treni. L’età media in Italia è 17,2 anni, migliorata rispetto allo scorso anno (18,6) solo perchè alcune regioni (come Lombardia, Toscana e Veneto… chi se lo può permettere insomma) hanno rinnovato il parco rotabile. Le prime 4 regioni nella mortificante classifica dei treni più obsoleti sono Abruzzo, Basilicata, Sicilia e Calabria, con un’età media che oscilla dai 22 ai 24 anni. Parliamo di treni dove manca il riscaldamento in inverno e l’aria condizionata d’estate, dove i servizi igienici lasciano a desiderare e la parola comfort diventa pura utopia. L’innalzamento dell’età media dei convogli ha portato anche a un sensibile rallentamento su alcune linee che, come nel caso della Siracusa-Gela, ha riportato i tempi di percorrenza a quelli di 20 anni fa!

Il dossier si chiude marcando bene la situazione del meridione, non occorre aggiungere altro a queste parole:
“Si tratta di un’Italia a due velocità: il successo dei Frecciarossa da una parte e i tagli a intercity e treni regionali dall’altra con una forte emergenza al Sud. In Italia aumentano le persone che viaggiano in treno, ma con dinamiche molto diferenti da Nord a Sud. Un Paese dunque con sempre più treni di serie A e B, dove si evidenzia in alcune città una vera e propria emergenza per i pendolari, mentre al sud come una grande questione nazionale”.

Alitalia, incazzatura a tre colori

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di Pierluigi Peperoni

L’immagine che vi mostro di seguito è stata una delle più condivise su Facebook nelle ultime ore.

tariffe alitalia

Si tratta di una semplice tabella riepilogativa dei costi dei voli Alitalia da Milano verso alcune località nazionali ed internazionali, che evidenzia la sproporzione del costo dei voli per Reggio Calabria rispetto a quelli diretti verso altre mete.

La risposta dei social media manager della ex compagnia di bandiera italiana è di circostanza, ma l’effetto virale è stato dirompente ed in breve sono iniziati a fioccare i commenti al post pubblicato inizialmente da Tonino Sanfedele.

Alcuni commenti sono particolarmente interessanti come quello di Chiara che afferma: <<controllo il vostro sito quotidianamente dal mese di Ottobre ed i prezzi sono sempre stati superiori ai 200€ sola andata. Cosa intendi per “prenotare con anticipo”? E cosa per “soluzioni più economiche”?>> oppure quello di Antonino che suggerisce di non protestare <<altrimenti ci tolgono anche questo volo nonostante sia sempre pieno!>>.

Alitalia (controllata al 49% dalla società araba Etihad Airways) è a tutti gli effetti una compagnia privata. Inutile recriminare sul fatto che approfitti del proprio vantaggio competitivo di essere monopolista di fatto della tratta Milano – Reggio Calabria. Non è più la compagnia di bandiera italiana e quindi non ha alcun obbligo nei confronti dei cittadini. Se ha una posizione di dominio su un mercato è giusto che realizzi il maggior profitto possibile. Si tratta delle normali leggi di mercato.

Quello che forse non tutti sanno è che la libertà di circolazione è sancita in Italia dalla Costituzione italiana (Art. 16) e in Europa nella Carta dei diritti dell’Unione europea (Art. II-105).

Ora chiediamoci come mai i voli verso le altre destinazioni italiane hanno costi tanto inferiori rispetto a quelli per Reggio Calabria. Le ragioni sono principalmente due:

  • Alitalia ha dei concorrenti sulle stesse tratte;
  • esistono dei mercati alternativi, come quello ferroviario o autostradale che tendono a livellare verso il basso il costo dei voli.

E allora mi incazzo, divento verde di bile se penso al diritto calpestato degli studenti calabresi a poter tornare a casa per Natale, ai tanti che lavorano fuori e devono spendere mezzo stipendio solo per poter tornare a casa ad abbracciare i propri parenti per qualche giorno.

Sbianco di fronte alla pochezza dei nostri amministratori, incapaci di fornire collegamenti di livello europeo a 20 milioni di cittadini meridionali, pur avendone la possibilità. Sbianco se penso che questa gente ha in mano il nostro futuro.

Divento rosso di rabbia se penso che la stessa Alitalia è stata salvata con i soldi di tutti i contribuenti italiani, di ogni latitudine e ceto sociale.

Tre colori, come il logo della stessa Alitalia, una degna compagnia di bandiera di questa italiella.

Il treno Palermo – Siracusa: simbolo di una rete fantasma al sud

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di Eleonora Greco

Si è parlato tanto del tema “trasporti al sud”, di collegamenti e treni fantasma, specie in Sicilia. Ora la novità: un treno diretto da Palermo a Siracusa.

Lo annunciò Trenitalia nei mesi scorsi e pare che il progetto abbia preso forma. La Sicilia potrà finalmente collegare la zona sud orientale alla zona occidentale. Ma ciò non basta a placare la mancanza di collegamenti capillari per l’intera isola. I riflettori si accendono su una realtà emarginata e abbandonata: totale assenza di investimenti, continui tagli ai treni a lunga percorrenza, ritardi, soppressioni. E pare, da voci di corridoio, che i treni utilizzati per la nuova tratta siano scarti del nord.

Per il sistema politico tutto ciò è normale! Chi viaggia, però, gli occhi chiusi non può tenerli. E al Sud succede di tutto: dal biglietto per un intercity che poi sarà un regionale ai treni alimentati ancora a gasolio. Eppure nessuno, dall’ “alto”, si impegna a salvaguardare le linee ferroviarie che col passare degli anni sono state ridotte da e per il meridione. Persino il CEF (Connecting Europe Facility), che avrebbe potuto potenziare i servizi, non l’ha fatto! Ha preferito collocare i 7 miliardi di euro previsti per il trasporto ferroviario al Sud in progetti da Roma in su. Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio ha inaugurato da circa due mesi i lavori per la tratta ad alta capacità tra Napoli e Bari (da non confondere con l’alta velocità). Lavori che si concluderanno nel 2025. Altri 10 anni per collegare le due principali città del Sud continentale con tempi di percorrenza penosi. L’alta velocità qui da noi ha solo la funzione di esportare i nostri cervelli al nord.

Una vera e propria vergogna “all’italiana” che condiziona lo sviluppo economico e sociale. Basta dare un’occhiata al TAV e alla rete ferroviaria in Europa per capire che il Mezzogiorno, la zona a più alta concentrazione di patrimoni culturali, è isolato dal resto del mondo. Creare una rete di autostrade, ferrovie, aeroporti ben collegata costituirebbe un requisito fondamentale per lo sviluppo di una solida economia meridionale.

Investimenti Infrastrutture: Mezzogiorno rimandato a Settembre

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di Mattia Di Gennaro

Ricordate la direzione del PD sul Mezzogiorno del 7 agosto scorso? Ricordate Graziano Delrio che pontificava circa il suo impegno per lo sviluppo del Sud?
Bene, siamo pronti a saggiare le bontà delle sue intenzioni!

Come riportato nell’articolo di Alessandro Arona su “Il Sole 24 Ore” del 23 Agosto, entro il 30 Settembre il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, lo stesso che dichiarò “non s’investe in infrastrutture al Sud perché ci sono troppe rocce”, potrà dimostrare la propria serietà politica nei confronti del Mezzogiorno, dato che in questa data sarà presentato al CIPE la nuova versione dell’allegato “Infrastrutture” al Documento di Economia e Finanza.

Giusto per ricordarlo, l’allegato “Infrastrutture” è quel documento che nella versione 2014 prevedeva, tra le altre cose, progetti in infrastrutture “Connecting Europe Facility” per 7 Miliardi e 9 Milioni di euro ripartiti 7 Miliardi e 5 Milioni al Centro-nord e solo 4 milioni a Sud.

In materia di infrastrutture, Settembre è un mese cruciale. E’ infatti in fase di finalizzazione l’aggiornamento al 2015 del contratto di programma per la Rete Ferroviaria Italiana, sottoscritto da Trenitalia e dal Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti. Le cifre in ballo sono interessanti: gli investimenti ammontano a 4 miliardi di euro!
Secondo voi, come saranno state allocate le risorse? La risposta è, purtroppo, ormai scontata:
– 3 Miliardi alla TAV Brescia-Verona-Padova, che detiene il record della più costosa linea ad alta velocità del mondo con 70 milioni di euro a km (piuttosto, un treno ad alta voracità…di soldi pubblici);
– 600 Milioni al terzo valico di Genova così che i treni possano trasportare merci da e verso il porto di Genova, affossando definitivamente Gioia Tauro e gli altri scali del Sud;
– 400 milioni all’ammodernamento generale della rete ferroviaria nazionale non meglio precisamente allocati tra Nord e Sud.

Qualche buona notizia, teoricamente, c’è. Uno dei punti chiave su cui il CIPE sarà chiamato ad analizzare è quello relativo alle politiche per il Sud che il Governo ha promesso ma che non ha ancora formalizzato e, con tutta probabilità, neppure ipotizzata. A riprova di ciò, le dichiarazioni del premier Renzi, il quale durante la direzione PD ha ammesso candidamente che quell’incontro era solo un incontro preliminare, quasi a confessare che prima d’ora il Governo non aveva mai discusso di Mezzogiorno!

Intanto i 54 miliardi di Fondi per lo Sviluppo e la Coesione previsti nella legge di stabilità 2014 si sono ridotti già ai 42 miliardi degli Accordi di partenariato. Una drastica cura dimagrante per un paziente già anemico e sottopeso, il tutto per distogliere i fondi per le aree sottosviluppate ad altri scopi, alla maniera della Lega Nord e di Tremonti, che con i fondi FAS destinati al Mezzogiorno ci pagava le multe per le quote latte dei produttori padani.
Per non parlare, di altri provvedimenti che hanno contribuito a dividere ancora di più l’Italia tra cittadini di serie A e B. Ad esempio, i fondi per il piano di prevenzione del dissesto idrogeologico, che nonostante la strage di Rossano in Calabria o del Gargano sono state destinate in maggioranza al Centro-nord.
Qualcosa destinata in maggioranza al Sud, però, c’è: il famigerato PON “Infrastrutture e reti”, approvato dalla Commissione Europea lo scorso 29 luglio, che si occuperà di finanziare progetti infrastrutturali a valere sulle tratte ferroviarie Napoli-Bari, Catania-Palermo oltre ad investimenti per la Salerno-Reggio Calabria e per alcuni porti del Mezzogiorno. Un bel librone di 120 pagine abbondanti che da un lato spiega quali sono i gap infrastrutturali del Sud e dall’altro fornisce le ricette per la loro soluzione. Tuttavia, la dotazione del PON Infrastrutture e Reti è di 1 Mld e 800 Milioni per tutto il Mezzogiorno, poco più della metà di quanto stanziato per la TAV Brescia-Verona-Padova. Questo vale il diritto alla connessione delle città del Sud, meno di una connessione tra tre province del Nord.

Opinabili, inoltre gli obiettivi che tale programma di investimenti rivendica: a fronte di una distanza tra Napoli e Bari di poco più di 200 KM, l’obiettivo è portare gli attuali 185 minuti del viaggio ferroviario a 167; giusto per un confronto, Napoli e Roma sono distanti circa 190 KM e in FrecciaRossa sono lontane appena 70 minuti! Per non parlare delle politiche relative al rilancio dei porti mediterranei, senza mai la pretesa di fare diventare un porto meridionale il principale scalo merci del Paese.

Il PON “Infrastrutture e Reti” è, dopotutto chiarissimo negli intenti. Come si può leggere a pagina 17, il Centro-Nord è “naturalmente” destinatario degli investimenti al Sud, spettano solo le briciole.

Insomma, le solite politiche anti-meridionali, soltanto in apparenza tese a risolvere i problemi strutturali del Mezzogiorno, procurando nei fatti un aggravio del divario Nord-Sud, con il primo destinatario della fetta importante degli investimenti. Intanto nel resto del Mondo la TAV sta diventando sempre più lo standard di trasporto pubblico, il Canale di Suez raddoppiato incrementa il traffico, mentre da Napoli è ancora impossibile raggiungere in treno Bari senza dover cambiare treno, così come è impossibile che uno dei più importanti porti del Mediterraneo, Gioia Tauro, non sia adeguatamente collegato alla rete ferroviaria.

Tanto cosa importa, presto da Brescia si andrà a Verona in un (costosissimo) batter d’occhio. Tanto cosa importa se a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, ancora non arriva il treno nazionale! Altro che‪#‎zerochiacchiere‬, il Governo ancora una volta ha dimostrato che quando si tratta di Mezzogiorno è bravo a fare ‪#‎solochiacchiere‬!